Villa Reiner (Renier)

Erizzo, Giorgi (Zorzi), Barziza, Ricci-Manfredini, Corradin, Donello, Roncolato-Scolari, Schiavinato, detta Cà Brusà
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Scheda Storica

La villa si trova al termine della via Cà Biagini, che proviene da Ponte di Barbarano, poco prima dell’abitato di Lovolo. Orientata con la facciata principale a ovest, la Cà Brusà è considerata una delle prime costruzioni a dimora gentilizia sorte nel Veneto, fatta erigere appunto da una delle facoltose famiglie veneziane che, a partire dagli ultimi decenni del ’400, acquistarono terreni a Lovolo per renderli coltivabili.

Esistono comunque tracce che fanno pensare ad un primo nucleo abitativo medioevale, sorto e utilizzato come convento da una piccola comunità di monaci cistercensi che avrebbero contribuito all’opera di bonifica di questo luogo. A prospettare tale ipotesi è il prof. Renato Cevese, il quale in una sua pubblicazione ha osservato che la loggetta sul fianco destro della villa in origine doveva essere un antico convento. Probabilmente si rifà alle ricerche d’archivio compiute dal Maccà che hanno portato al rinvenimento di una raccolta di leggi “sindicali” dell’anno 1762 in cui è riportato un atto del 31 luglio 1409, secondo cui alcuni patrizi veneziani poterono acquistare terre appartenenti all’ordine cistercense.

Le recenti ricerche archivistiche condotte hanno poi chiarito che nel Basso Medioevo la località “Martignago”, chiamata successivamente Lovolo (a partire dal ’400), era posseduta dal vescovo di Vicenza e dal comune di Barbarano che se la contendevano fin dal secolo XIII e sul quale avevano raggiunto un laborioso compromesso nella Manifestatio Iurisdictionum del 1268.

Nel 1464 il patrizio veneto Bartolomeo Grimani ottenne in affitto i circa 800 campi della possessione di Lovolo composta da “terra arativa, boschiva, paludiva e montuosa, con delle antiche mura di una casa in contrà del Lovolo”iv. Secondo la prof.ssa Maria Grazia Bulla Borga l’accenno a muraglie antiche di una casa è riferito alla Ca’ Brusà che, pertanto, nel 1464 risultava costituita solo da alcuni resti di mura.

Per quanto concerne la datazione, secondo Cevese, le caratteristiche della facciata fanno risalire l’edificio ad un periodo compreso tra il 1480 e il 1495, quando fu rinnovata in modo radicale. Sulla genesi di questa composizione architettonica – scrive il Cevese – si espressero due opinioni: l’una che la riporta alle forme compositive del castello medioevale, essendo i due corpi laterali simili a torri, e il raccordo una derivazione delle logge nei cortili interni; l’altra, viceversa, che la riconduce alle forme architettoniche venutesi elaborando a Venezia sotto lo stimolo di una cultura costantinopolitana, quindi mediamente romana, e di una cultura di più diretta eredità italico-latina. Pertanto la villa di Lovolo sarebbe un trapianto di più raffinate e dotte forme lagunari.

Cevese propende per la prima tesi, sostenendo che “i due corpi avanzanti, dissimili per dimensioni e proprio per la loro diversità, esclude un ordinato progetto su schemi ritenuti esemplari, sicché la sua varia articolazione fa pensare che derivi dall’adattamento di strutture antiche, congiunte insieme da un corpo arretrato, a portico sotto e a loggia sopra”vii. Lo studioso si sofferma poi sulla descrizione delle due torri che sembrano nate in due momenti distinti e per diverse esigenze: “sensibilmente più stretta quella di sinistra, con distribuzione simmetrica di elementi; ben più larga quella di destra, nettamente asimmetrica per l’alta fascia di parete piena. Mentre portico e loggia sembrano giunti pressoché intatti dal tempo della loro costruzione, le due torri furono manomesse nel ’500 quando le finestre originali curvilinee furono riquadrate dalle cornici rettangolari odierne…”.

Il Fasolo, studiando questa fabbrica, ha osservato che il suo autore, pur proponendosi di superare le forme gotiche, non vi riuscì del tutto: “è sparito l’arco a sesto acuto, i capitelli delle colonne sono classicheggianti, ma la ristrettezza degli intercolunni della loggia, le proporzioni e l’intonazione generali sono ancora gotiche”.

Per Giuseppe Mazzotti, Ca’ Brusà è un edificio di particolare interesse per chi voglia studiare l’origine e l’evoluzione di un tipo di villa veneta, il cui schema costruttivo si ritrova più volte anche nei secoli successi. Anche Maria Antonietta Zancan riconosce un carattere di eccezionalità nella Ca’ Brusà che deriverebbe dalla tipologia del palazzo veneziano e che quindi costituirebbe un esempio unico di ville diffuse nella campagna veneta.

Lo studioso Martin Kubelik fa risalire agli inizi del Quattrocento il primo impianto costituito da quattro edifici attorno ad una corte; alla fine del Quattrocento la ricostruzione della residenza vera e propria come appare oggi; un successivo momento attorno alla fine del Seicento in cui vengono apportate modifiche con l’ampliamento verso sud della torre destra. Gianni Degan osserva che l’elegante edificio quattrocentesco presenta schemi che si riferiscono ad un primo rinascimento di transizione, con accenni all’arte portata nel Vicentino da Lorenzo da Bologna.

Dal 1500 in poi, per mancanza di documenti, la storia di questa villa rimane oscura. Da una mappa del 1586 raffigurante la zona di Lovolo possiamo rilevare che la Ca’ Brusà apparteneva al nobile Sebastiano Renier; successivamente passò in mano a vari proprietari: dagli Erizzo ai Giorgi (Zorzi), dai Barziza ai Ricci-Manfredini, dai Corradin ai Donello, dai Roncolato-Scolari agli Schiavinato, attuali possessori del complesso. Nel corso dei secoli l’edificio dominicale fu ingrandito e subì modifiche sostanziali che hanno in parte cancellato l’aspetto simmetrico gotico.

La studiosa Cristiana Guerrieri riferisce di lavori eseguiti dopo il 1692 che alterarono la pianta a U del complesso. Tale intervento viene spiegato col fatto che la corte agricola era troppo stretta e una nuova, molto più grande, fu posizionata a destra, in modo da liberare l’antica corte. Fu aggiunto un ampliamento a destra di quello principale che distrusse la simmetria.

Nel secolo scorso, la trasformazione avvenuta negli anni Trenta, in occasione del frazionamento dell’intera proprietà tra due famiglie ha comportato, oltre all’esigenza di due nuovi accessi, uno nella porzione a nord e l’altro in quella a sud, anche due distinti punti scale contenuti nelle due torri e, al contempo, una netta divisione ai diversi piani delle due proprietà. Dal 1973 Ca’ Brusà appartiene ai coniugi Pier Paolo e Caterina Schiavinato che hanno fatto rimuovere tutte le tramezze di frazionamento e parti delle scale esistenti riportando l’edificio all’unità originaria.

La pianta della villa – osserva Barnaba Seraglio – richiama gli schemi tipici dei palazzi veneziani, con salone passante che distribuisce due stanze per lato; in corrispondenza delle torri laterali esterne vi sono due grandi locali verso sud e una stanza, cui si accede dopo un disimpegno collegato alla loggia, verso nord. La barchessa è realizzata in pietra e laterizi e si apre verso un giardino cinto da un alto muro in pietra. Si ritiene che la villa attuale sia frutto del rimaneggiamento di una fabbrica gotica avvenuto alla fine del Quattrocento.

Completano il complesso, a destra della torre meridionale, una pregevole loggetta a colonnine che, in origine, secondo Cevese, doveva essere parte dell’antico convento, così come la cappella, andata distrutta; poi gli annessi rustici utilizzati un tempo come abitazione dei gastaldi e ricovero attrezzi.

Negli ultimi decenni, gli Schiavinato hanno svolto diversi lavori di consolidamento e di ristrutturazione della villa allo scopo di riadattare ad uso abitativo i vari ambienti mantenendo nel contempo le caratteristiche originarie.