Oratorio Santi Filippo e Giacomo

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Scheda Storica

L’oratorio, dedicato ai santi Filippo e Giacomo, attualmente di proprietà della parrocchia di Albettone, risale al secolo XIII, quando vi era annesso un ospizio per l’accoglienza dei pellegrini e dei malati gestito da religiosi benedettini e poi umiliati.

Nel Quattrocento, quando fu edificata la villa Negri, la chiesetta venne incorporata nella grande residenza, comunicante con le ali laterali della costruzione, come si può vedere dalla mappa dell’anno 1603. Nel 1583, in occasione della visita vescovile, la chiesa era ancora intitolata al solo San Giacomo e apparteneva alla famiglia Campigliai. In seguito al matrimonio tra Elena Campiglia e il marchese Guido Sforza Gonzaga, avvenuto nell’anno 1584, l’oratorio passò in proprietà dei Gonzaga. Successivamente entrò in possesso del conte bresciano Filippo Mazzucchelli. Nel 1745, in occasione della visita vescovile, il parroco Pietro Dalla Vecchia riferiva che l’oratorio era di proprietà della famiglia Maroliii. In seguito, verso la fine del Settecento subentrarono i conti Salvi. Il sacello venne ricostruito nella seconda metà dell’Ottocento in stile lombardo-bizantino su progetto dell’architetto Antonio Calegaro Negrin, per volontà della famiglia Negri De’ Salvi.

Demetrio Condostaulo, nelle sue memorie storiche su Albettone, scriveva nel 1870: “Presentemente questa chiesa trovasi in ottimo stato essendo stata elegantemente restaurata sul principio di quest’ultimo decennio”. Il 30 giugno 1858, con “istrumento” fu istituita la mansioneria con messa quotidiana, fatta dalla nobile contessa Rosina Garzetta De Salvi. Nel 1869 vi era in qualità di mansionario don Matteo Pasquali. Successivamente, il vescovo Rodolfi, con lettera datata 16 febbraio 1925, sospese la celebrazione per il pubblico della messa binata nell’oratorio. La solennità di detta chiesa aveva luogo nella prima domenica di maggio, nota con il nome di Sagra di San Giacomo e con esposizione di fiori nel giardino dei Salvi. Fatto non poco curioso – osserva Chiara Marin – è che ad Albettone si festeggia ancora oggi con la Sagra delle Rose proprio i primi di maggio.

Nel 1939 la chiesetta fu acquistata dal comm. Albano Michelazzo; più tardi, nel 1971 gli eredi Ruggero, Lina e Mario Michelazzo e Lina Bolcati, vedova Michelazzo, hanno donato l’oratorio alla chiesa parrocchiale di Santa Maria Nascente. L’edificio è composto da quattro corpi addossati di diverse dimensioni. Il principale è costituito dalla chiesa, rivolta verso la pubblica via e formata da un’unica aula rettangolare, con pareti decorate a motivi geometrici e volta stellata, impreziosita da un ricco altare, anch’esso in stile ecclettico, che recupera parti di un manufatto settecentesco. Sopra l’altare è custodita una pala seicentesca raffigurante ai lati i santi Filippo e Giacomo e al centro la Vergine col Bambino Gesù tenuto sul grembo.

Alle spalle del presbiterio, due porte conducono alla sacrestia; questa trova posto in una struttura più bassa, che volutamente conclude un lungo annesso rurale del complesso di villa Negri De’ Salvi. Adiacente si trova un’aula di modeste dimensioni che in passato veniva utilizzata nei mesi freddi come cappella invernale. Alla destra dell’ingresso principale, si apre una cappella a pianta ottagonale che accoglie le tombe della nobile famiglia Negri De Salvi; alle pareti si osserva una decorazione pittorica a grottesche.

La chiesa e l’ospedale di San Giacomo
Nel secolo XII appaiono negli antichi xenodochiv e presso le chiese campestri alcune comunità di laici che non vivono sotto una regola, che hanno con sé le proprie mogli e fanno penitenza. Anche a Vicenza e nel territorio si diffonde tale movimento religioso, formato anche da eremiti, che fanno vita comune dedicandosi alla preghiera o assistendo i pellegrini negli ospizi. Talvolta sembrano legati alla regola benedettina, poiché è noto che i Benedettini avevano delle comunità laiche composte da “conversi” addetti ad opere di penitenza e all’assistenza dei poveri e dei pellegrini. In queste comunità potevano vivere insieme “fratres et sorores” (fratelli e sorelle)vi. Molto probabilmente è il caso di Albettone dove a gestire la chiesa e l’ospizio di San Giacomo, posti di fronte all’antico mulino sul Bisatto, è una comunità di religiosi laici ai quali poi subentrano i Canonici regolari di Sant’Agostino della Congregazione di San Marco di Mantova, giunti a Vicenza agli inizi del Duecentovii.

La notizia più antica sull’esistenza della chiesa di San Giacomo ci perviene da una pergamena datata 12 marzo 1228. Nel documento, scritto ad Albettone “apud ecclesie Sancti Iacobi” (presso la chiesa di San Giacomo), si riporta che Guglielmo e Pietro, chierici e rettori della chiesa di Santa Maria di Barbarano, per ordine di Olverado, arciprete della pieve di Barbarano, e con il consenso del Capitolo, immettono “Iohannem magistrum tamquam conversum in tenuda et in possessione de ecclesia Sancti Iacobi”viii. I due chierici pongono quindi il converso Giovanni nel possesso della chiesa e del beneficio di San Giacomo. Accanto alla chiesa sorgeva l’ospedale, uno dei numerosi xenodochi benedettini presenti nel Vicentino. Tali strutture di accoglienza si trovavano di solito lungo gli itinerari romani, rinnovando in senso cristiano la funzione sociale delle antiche “mansiones”ix.

Sorgevano più numerosi nella pianura, sulla via Postumia e sulle diramazioni che ad ovest del Vicentino portavano alle località di Creazzo, Altavilla, Montecchio Maggiore, Arzignano, Brendola, Lonigo, Baldaria e Cologna Veneta, e nel Basso Vicentino lungo la Riviera Berica a Longara, Castegnero, Barbarano, Sossano e Albettone. Quando i monaci benedettini, diminuiti di numero, si ridussero ad abitare nei grandi monasteri, le chiese e gli ospizi da essi abbandonati diventarono spesso le residenze dei religiosi laici delle fraternite comunitarie, dei penitenti rurali, dei Battuti, degli Umiliati, dei Canonici regolari di San Marco di Mantova o anche di qualcuno degli ordini religioso- cavallereschi. Questi, in massima parte, continuarono l’assistenza ai pellegrini, ai vecchi, alle vedove, agli esposti e agli orfani, agli infermi, ai malati privi di ogni assistenzax.

Ma la cura medica propriamente detta, che caratterizza i moderni ospedali, non era contemplata in quegli ospizi. In tali strutture infatti si ospitavano gratuitamente, secondo la prassi cristiana antica quanto la Chiesa, coloro che l’egoismo umano reputava un peso nella società. Si trattava quindi di “domus hospitalis” (case di ospitalità), di “domus Dei” (case di Dio) destinate ai poveri di Cristo, “intelligendo pauperes Christi orfanos, viduas et alias personas miserabiles et egenas”, come si esprimeva Giovanni del fu Giacomino da Albettone nel suo testamento del 31 agosto 1299xi. Iniziative assistenziali furono promosse dal XII secolo anche da comunità religiose di laici. Risalgono infatti al Duecento le prime fondazioni ospedaliere dovute all’intervento di singoli laici nel territorio vicentinoxii. Il 16 agosto 1233 il vescovo di Vicenza Manfredo aveva investito frate Bonifacio, priore del monastero di San Tommaso di Borgo Berga in Vicenza, della congregazione di San Marco di Mantovaxiii “de ecclesia hospitalis Sancti Iacobi de Albetone cum domibus, tegetibus, ciircuitu et apendiciis”.xiv

Anche l’ospizio di San Giacomo era quindi passato sotto la gestione dei frati di San Tommaso, come esplicitato nel prosieguo del documento. Dal testo si deduce che la pieve di Santa Maria di Barbarano vantava diritti sull’ospedale di San Giacomo; il vescovo Manfredo infatti aveva ordinato al priore del monastero di San Tommaso Bonifacio e al suo collegio di pagare a titolo di censo all’Arciprete e al Capitolo della Pieve di Barbarano per la stessa Pieve e alla stessa Pieve sei stare di buon frumento, da essere condotte a loro spese a detta pieve nel giorno di San Felice, e una libbra di incenso, sciogliendo detto ospedale da ogni altro vincolo e vessazione dalla pieve di Barbarano; infine comandava all’arciprete di Barbarano Olurado di porre lo stesso priore di San Tommaso nella possessione materiale del detto ospedale di San Giacomo. Qualche anno dopo, nel 1236, i frati di San Tommaso rinunciarono alla chiesa e all’ospedale di San Giacomo di Albettone in favore dei frati di San Nicolò di Nunto (Olmo di Creazzo). Essi mantennero l’ospedale di San Giacomo di Albettone fino all’agosto 1261. Il 30 agosto di quell’anno, infatti, gli Umiliati della “casa di mezzo” di Vicenza furono investiti dal vescovo di Vicenza Bartolomeo da Breganze della chiesa di S. Giacomo poiché il capo della Chiesa vicentina riconosceva “sincere devotionis affectum quem fratres humiliatis de loco de medio Vincencie habuerunt et habent diligenter” e ricordava la loro opera in favore dell’episcopatoxv. Pertanto i frati e le monache della casa “di mezzo” di Vicenza divennero responsabili della chiesa di San Giacomo di Albettone e, dipendendo Albettone dalla pieve di Barbarano, dovettero corrispondere a quest’ultima un censo annuo pari a sei staia di frumento ed una libbra di incenso, come già avevano fatto i monaci di San Tommaso di Berga, a partire dall’anno 1233.

Gli Umiliati, inoltre, dovevano provvedere alla chiesa “tam in spiritualibus quam in temporalibus”, cioè tanto per gli aspetti spirituali quanto per quelli materiali. Qualche giorno dopo, esattamente il 2 settembre, l’arcidiacono del vescovo Bartolomeo investì gli stessi umiliati “de Ecclesia et beneficio de loco et hospitali Sancti Jacobi de Albetone”, riconfermando loro il beneficio della chiesa e la cura dell’ospedale e del luogoxvi. Questo documento verrà poi legittimato sia dal notaio Niccolò Smereglo nel 1274, sia più tardi, nel 1453, dal notaio della curia episcopale, certo Bartolomeo, su richiesta di Anechino di Fiandra, arciprete di Barbarano. Gli atti appena citati dimostrano dunque che per quasi due secoli, dal 1261 al 1453, la chiesa di San Giacomo di Albettone e l’ospedale ad essa annesso vennero gestiti dagli Umiliati della casa “di mezzo” di Vicenza.